Breve storia del (flair) bartending

Che ci crediate o no, tutto ha avuto inizio da una nuvola di caldo, bianco vapore. Vapore che, nella seconda metà del Settecento, aziona un motore, genera una nuova energia e contribuisce all’avvio della Prima rivoluzione industriale. 

 

Tra gli innumerevoli vantaggi introdotti dall’impiego dalla macchina a vapore, a noi ne interessano due: i

 

l miglioramento dei trasporti e l’evoluzione dei metodi di conservazione, lavorazione e distillazione degli alcolici. 

 

Migliori trasporti vogliono dire collegamenti più facili e contaminazioni più veloci tra Nuovo e Vecchio Mondo, cioè tra America (che all’epoca era ancora una colonia inglese) ed Europa. 

 

E per quanto riguarda gli alcolici, assistiamo a una notevole diffusione dei distillati, pietra miliare dell’arte della miscelazione.


Nel 1776, con l’indipendenza dalla Corona Inglese, inizia un periodo di grande benessere per i nuovi Stati Uniti d’America. L’economia fiorisce, le persone si arricchiscono e hanno voglia di festeggiare e bere in compagnia. È un momento storico d’oro per l’industria del food & beverage. Negli ampi saloni da cerimonia e nei bar si fuma liberamente, si mastica tabacco, si sorseggiano i primi punch e cocktail julep. 

 

Ora ci tengo a portarvi poco fuori New York, sulla strada per Boston, in uno di questi accoglienti locali, Cato’s. 

Il proprietario è Cato Alexander (1780-1858), un uomo nato schiavo probabilmente in South Carolina, che ha conquistato la libertà e si è trasferito a New York per realizzare il suo sogno. La sua taverna è una delle più frequentate, nonostante il razzismo fosse una piaga della società dell’epoca e fosse quindi alquanto raro imbattersi in un locale gestito da un uomo di colore. Nel locale di Alexander si mangia, si balla in una sala apposita e si bevono ottimi drink preparati da lui stesso, tra i quali ricordiamo in particolare il Punch al latte della Carolina del Sud, il Virginia Eggnog, l’ampia offerta di Mint Juleps e Gin-toddys. 

 

Il Virginia Eggnog è oggi considerato la bevanda natalizia per eccellenza dagli Americani. Tutte le varianti più accreditate della ricetta contengono uova crude, panna, whisky, rum, brandy, zucchero. 

 

Potremmo certamente definire Cato Alexander un padre, o comunque un precursore, della mixology, eppure il suo nome è noto a pochissimi. Anche molte delle sue ricette originarie restano avvolte nel mistero e possiamo solo provare a immaginarle, perché non le ha mai messe per iscritto. Vogliamo ricordarlo nelle parole dell’autore e attore teatrale William Dunlap: “Chi non ha mai sentito parlare di Cato Alexander?! Non conoscere Cato è non conoscere il mondo.” (da A scene at Cato’s, W. Dunlap). 

 

Nel 1806 compare per la prima volta su una rivista la parola cocktail, anche se pare sia stata coniata proprio nel locale di Cato Alexander. Secondo alcune fonti, il termine deriverebbe dall’usanza di decorare i drink più raffinati con una piuma di gallo colorata; secondo altre invece il nome nascerebbe da un’erronea trasposizione del francese coquetelle, riferito ai bicchieri a coppa che venivano utilizzati per bere drink. 

 

Gli anni ‘40 e ‘50 dell’Ottocento sono gli anni della corsa all’oro californiana, della conquista del Far West, dei pionieri e dei cowboy. Nei sordidi saloon impolverati assistiamo a mosse primordiali di flair bartending, che consistono più che altro nel lancio “in scivolata” del boccale di birra da una parte all’altra del bancone. Niente di elaborato, ma è comunque un modo dinamico e innovativo di servire da bere. 

 

Nel 1862, in piena Guerra Civile Americana, un barman di New York scrive un libro sui cocktail, che contiene ben 236 ricette, pensate per un pubblico di gente benestante che ama il bere di classe.

 

Il libro ha un titolo ambizioso: Bartender’s guide: how to mix drinks, or The Bon Vivant’s companion e il barman si chiama Jerry Thomas, in arte “il Professore”. Oggi è ricordato come il padre della mixologia moderna e il primo flair bartender di sempre. 

Jerry Thomas nasce nel 1830 nella baia di Sackets Harbor, nello Stato di New York. Da ragazzo fa tanti lavoretti per campare: marinaio, promotore teatrale, cantastorie, cercatore d’oro in California. Poi, nel 1851, torna a New York e apre il suo primo saloon. 

 

È lì che inizia a sperimentare nuove tecniche di miscelazione che si configurano in veri e propri spettacoli di bartending acrobatico. Jerry Thomas è un barman ma è anche un abile giocoliere e intrattenitore, è un eccentrico o un genio. Le bottiglie, i bicchieri e gli shaker che lui fa volare in modi sempre più elaborati sono fabbricati in puro argento, talvolta decorati con pietre preziose e gioielli. La sua fama cresce, supera i confini della città e del paese. Si dice che all’apice della sua carriera, Thomas guadagnasse più del vicepresidente. Il Professore aggiorna costantemente il suo libro con nuove ricette, ma la più famosa da lui firmata resta senza dubbio il Blue Blazer, che è considerato il primo cocktail della storia realizzato con il fuoco e con un movimento di flair bartending. Gli ingredienti sono pochi e semplici: 

  • –  2 1⁄2 once di scotch whiskey o brandy
  • –  2 1⁄2 once di acqua bollente.
  • –  1 cucchiaino di zucchero a velo.
  • –  scorza di limone.
    Ma è la tecnica di preparazione ad essere speciale. Potete leggerla dalle parole dello stesso Thomas:
    «Versare il whiskey e l’acqua bollente in un boccale, dar fuoco al liquido e mentre sta bruciando versarlo da un boccale all’altro quattro o cinque volte, in modo che si mescoli bene […]. Se l’operazione è ben eseguita, sembrerà una cascata di fuoco liquido. Dolcificare con un cucchiaino da tè di zucchero bianco polverizzato, e servire in piccoli tumbler con un pezzetto di scorza di limone».
    Il veloce travaso della miscela da un boccale all’altro è considerata la prima mossa di flair bartending della storia, e la spettacolare fiammata di colore blu è quella che dà il nome al drink. Leggenda narra che in una sera d’inverno il diciottesimo Presidente degli Stati Uniti Ulysses Simpson Grant si sia recato nel locale di Jerry Thomas e sia rimasto così colpito dal suo Blue Blazer da donargli un sigaro.
    Il Professore conduce una vita interessante, ricca di aneddoti che animano le chiacchierate da bar dei suoi ammiratori. È un collezionista d’arte, viaggia in tutto il mondo conosciuto, si diletta in numerosi incontri di pugilato.
    Tuttavia Thomas ha anche dei rivali, e uno in particolare è Harry Jhonson. Forse originario della Prussia, Jhonson  approda a San Francisco nel 1861 e lì incontra per la prima volta il Professore. Dopo otto anni di lavoro come bartender in un saloon, si trasferisce a Chicago e apre un locale tutto suo, che presto lo rende celebre in tutta la città, al punto che spesso viene invitato a scrivere articoli e tenere conferenze sui temi del bartending e della mixology. Il Grande Incendio di Chicago del 1871 divora più di 9 km di città e anche il suo locale: Jhonson subisce una grave perdita economica e va a vivere a New York. Nel 1875 tenta di fondare il primo sindacato dei bartender americani, senza successo, però due anni dopo riesce a rilevare il Little Jumbo, il bar dove un tempo lavorava Jerry Thomas. Quest’ultimo si dissocia apertamente da qualunque legame con il locale, esplicitando la velata competizione, il dualismo elettrico che opponeva da anni queste due grandi personalità. 

 

La rivalità esplode nel 1880, quando un bel giorno Thomas piomba nel locale di Jhonson e rovescia per terra una bowl colma di un cocktail chiamato Tom & Jerry, una variante dell’eggnog che si serve calda. L’accusa? Il Tom & Jerry va servito solo quando la temperatura scende sotto lo zero, e chiunque faccia diversamente è un dilettante. 

 

Nel 1882, Jhonson pubblica The New and Improved Bartender’s Manual, or How to Mix Drinks in the Present, un’opera più tecnica della guida per bartender di Thomas, rivolta ai professionisti del mestiere e ricca di consigli tecnici molto dettagliati anche sulla corretta conservazione degli alcolici e degli strumenti, o sui primi passi da seguire per aprire un locale. 

 

Jhonson sostiene che il libro sia la riedizione di un’opera pubblicata nel 1860, ma di questa non esistono tracce. Se ciò fosse vero, Jhonson avrebbe anticipato Thomas e il suo manuale di due anni e dunque dovrebbe essere lui a passare alla storia come padre della mixologia moderna e del bartending professionale.
Nel 1890 Jhonson abbandona il lavoro al banco bar e apre la prima agenzia di consulenza per il Bar Management che la storia ricordi, per aiutare aspiranti bartender a gestire l’apertura, la conduzione e la pulizia di un locale, la formazione del personale, l’inventario, il modo di prendere gli ordini in modo da soddisfare sempre il cliente. Il modo e il tempo della sua morte sono incerti. 

 

Per quanto riguarda Jerry Thomas invece, nei suoi ultimi anni le speculazioni poco accurate sul mercato azionario lo portano alla bancarotta, costringendolo a vendere la sua adorata collezione d’arte per poter mantenere se stesso, la moglie e le due figlie. Viene stroncato da un ictus all’età di 55 anni, nel 1885. 

 

Si può tranquillamente dire quindi che Jerry Thomas fu il padre del flair bartending sia per la sua fama sia per quello che ha rappresentato come figura professionale.

 

Spero di averti raccontato un pò come nasce la storia del flair! ma non finisce qua! registrati al sito per non perderti i prossimi blog! 

 

Un abbraccio 

G